Scrittore italiano. Figlio di Pietro e di Giulia Beccaria, figlia di Cesare.
All'età di sei anni lasciò la casa paterna per essere educato in
collegio, dapprina dai padri Somaschi a Merate e a Lugano, poi dai Barnabiti a
Milano (1791-1801). Di questo periodo è la sua prima formazione
intellettuale, influenzata soprattutto da letture personali e dalla tradizione
familiare materna, razionalistica e rivoluzionaria, anticonformista,
anticlericale e antitirannica, accompagnata da una solida educazione classica.
Sintomatico di questo modo di pensare è il suo atteggiamento nei
confronti della relazione tra sua madre Giulia e il conte Carlo Imbonati,
relazione che egli accetta con spregiudicatezza, tanto da scrivere i versi
sciolti
In morte di Carlo Imbonati (1805), in occasione della scomparsa
dell'amico materno. Del 1805 e legato a questo avvenimento è il viaggio a
Parigi dove
M. resterà fino al 1810. È di questo periodo la
frequentazione del salotto di Sofia Condorcet a Auteuil e l'amicizia con lo
storico Claude Fauriel, i filosofi sensisti Destutt De Tracy e Jean-Georges
Cabanis e con i più vivi esponenti della cultura dell'epoca. Il 6
febbraio 1808
M. sposa Enrichetta Blondel, ginevrina e calvinista, con
rito protestante. L'unione con la giovane e religiosa Enrichetta sarà
determinante per la conversione di
M. perché porta nella nuova
famiglia il bisogno di una più concreta religiosità, che
scaturirà nel 1810 con la ricelebrazione del matrimonio con rito
cattolico e la conversione di Enrichetta. Nello stesso anno, si converte anche
M., in seguito all'illuminazione improvvisa avuta nella chiesa di San
Rocco a Parigi e ai contatti avuti con alcuni giansenisti francesi. Importanti a
tal riguardo sono il sacerdote Eustachio Degola a Parigi e il vescovo Luigi
Tosi, al ritorno in Italia. Entrambi questi ecclesiastici influenzano la
conversione di
M. in senso giansenistico, liberale, democratico e
antigesuitico, aspetti che saranno poi temperati, ma non rinnegati, dal 1826 in
avanti, grazie all'amicizia e influenza filosofica di Antonio Rosmini.
M.
rientra in Italia nel luglio 1810, vivendo quindi tra Milano, Brusuglio e Lesa,
dedito a una vita di lavoro e piuttosto schiva, disturbato dalla sua malattia di
carattere nervoso che non lo lascerà fino alla morte. Nel settembre 1819
ritorna a Parigi, ospite di Fauriel e della famiglia Condorcet, riprendendo i
contatti con quell'ambiente culturale. Rientrato a Milano nel 1820, non si
allontanerà più dall'Italia e solo raramente dalla sua
città; nel 1827 e nel 1856 dimorerà brevemente in Toscana per
conoscere e apprendere l'uso vivo della lingua. Dal 1812 al 1827 si ha il
periodo più fecondo e fervido di
M., culminante nella
pubblicazione de
I promessi sposi; poi la sua opera assumerà un
carattere sempre più chiuso e moralistico con interessi culturali ed
educativi. Nel 1833 muore Enrichetta Blondel, nel 1841 la madre Giulia e nel
1861 la seconda moglie, Teresa Borri vedova Stampa, ma tutti questi dolori, cui
si aggiungono la scomparsa di sei degli otto figli avuti dalla prima moglie e il
suo male persistente, non turbano la serenità della sua vita, arricchita
anche dall'ammirazione dei contemporanei. Muore il 22 maggio 1873, dopo essere
stato chiamato nel 1861 a far parte del Senato del nuovo regno d'Italia. ║
Opere:
Il trionfo della libertà (1801), edito per intero la prima
volta nel 1878, è un poema in quattro canti in terzine; dettato appena
uscito di collegio, testimonia il fervore giacobino e rivoluzionario di
M. giovane. Formalmente segue gli schemi divulgati da Monti, cui fu tra
l'altro legato da profonda amicizia, e si svolge come una visione in cui
compaiono eroi delle antiche repubbliche e della moderna rivoluzione, il tutto
pervaso di un forte spirito anticlericale e antitirannico; tentativo scolastico
dove il sentimento trabocca in forme facili e retoriche. Nelle prime opere di
M. è facile scoprire il modello cui si rifanno: a schemi
alfieriani ci riporta il sonetto autoritratto
Capel bruno: alta fronte;
occhio loquace del 1801, a Francesco Lomonaco quello su Dante (1802).
Foscolo riecheggia nell'ode
Qual su le Cinzie cime (1802-1803),
mitologico elogio alla bellezza femminile e, infine, l'idillio
Adda
(1803) è indirizzato a Monti. Composti probabilmente a Milano e Venezia
tra il 1802 e il 1804 sono i quattro
Sermoni satireggianti, sulla scia di
Parini e di Gozzi, i corrotti costumi del tempo, la nuova ricchezza, la fortuna
dei politicanti, l'ignoranza dei poetastri. Neoclassico quindi e assai legato al
tempo è lo stile di
M. giovane, ma sue e già presenti sono
la serietà della passione morale, la purezza del temperamento, il riserbo
sentimentale e il pudore degli affetti. Sono questi gli anni in cui
M.
delinea nello studio e nella serietà moralistica gli scopi della sua
vita; la conoscenza di personaggi illustri, quali Lomonaco e Cuoco, che lo
avvicina alla comprensione di Vico e lo porta ad approfondire e temperare le
proprie convinzioni.
In morte di Carlo Imbonati (1805) è il testo
più notevole dell'esperienza poetica di quegli anni e contiene quel
programma di austerità morale che fu sua costante guida. Durante il
periodo parigino continuano le esperienze neoclassiche, che culminano nel
poemetto
Urania del 1809, un'esaltazione della funzione moralizzatrice
della Bellezza e della Poesia, il tema delle
Grazie foscoliane. La
conversione segna la svolta più importante nella vita e nell'opera di
M; i primi quattro
Inni sacri sono composti tra il 1812 e il 1815
e segnano il ripudio della precedente esperienza per abbracciare una poetica in
cui siano più importanti le cose dette, la loro utilità e
verità piuttosto che la loro forma o bellezza. E difatti
La
Risurrezione (1812),
Il nome di Maria (1812-13),
Il Natale
(1813),
La passione (1814-1815) segnano una rottura non solo nello
stretto ambito manzoniano, ma anche in quello della tradizione lirica italiana,
sino allora attenutasi agli schemi petrarcheschi. Il tema religioso viene
trattato con uno stile che più si rifà alla tradizione oggettiva e
corale del Medioevo che a quella mistica e soggettiva dell'Umanesimo e della
tradizione seguente. La religione è ripresa non nei suoi aspetti
teologici e dogmatici, ma come strumento di redenzione morale e sociale, che
illumina le vicende e gli oggetti di un piccolo mondo popolare. Il quinto inno,
La Pentecoste, verrà pubblicato più tardi, nel 1822,
raggiungendo quella sintesi tra contenuto e forma che i primi non avevano. Tra
il 1818 e il 1819, ma pubblicata a Milano nel 1820,
M. scrive la prima
tragedia:
Il Conte di Carmagnola, opera debole con una sceneggiatura
frammentaria. La storia del condottiero al servizio dei Veneziani che,
ingiustamente sospettato di tradimento, viene infine arrestato e decapitato,
dà modo allo scrittore di approfondire la sua ricerca di
oggettività e realismo, lontana da ogni residuo di lirismo, e testimonia
la possibile redenzione del potente nella sventura e nella morte. Si
approfondisce qui, soprattutto nel personaggio di Marco, l'amico del
condottiero, la penetrazione psicologica del poeta. Del 1819 è la prima
redazione delle
Osservazioni sulla morale cattolica, libro scritto su
consiglio e pressione di monsignor Tosi, in polemica contro le accuse alla
dottrina cattolica di Sismondi. Le
Osservazioni, concepite come
confutazione delle tesi dello scrittore svizzero, rappresentano un notevole
sforzo di
M. per conciliare le ragioni della fede con il pensiero e il
sentimento contemporanei. L'
Adelchi, scritto tra il 1820 e il 1822, fu
pubblicato accompagnato dal
Discorso su alcuni punti della storia
longobardica in Italia. Seconda tragedia di
M., tratta della
conquista dell'Italia da parte dei Franchi guidati da Carlo Magno e della
disfatta dei Longobardi guidati da Desiderio e dal figlio Adelchi. Famosissimi
sono i due cori, il primo in cui il poeta incita gli Italiani a riprendersi la
loro patria, unendosi e senza sperare nell'aiuto o nella bontà di padroni
stranieri (tema prettamente romantico e risorgimentale) e l'altro, di
Ermengarda, la regina ripudiata che proprio nella sua umiliazione trova la sua
redenzione e il suo avvicinamento a Dio, simile a una oppressa e non più
"rea progenie". Del 1821 sono le due odi politiche
Marzo 1821 e
Il
cinque maggio.
Marzo 1821 fu scritta durante la rivoluzione
piemontese dello stesso anno, ma anticipa con il desiderio i fatti che in
realtà si avverarono solo nel 1848, quando fu probabilmente aggiunta
l'ultima strofa.
Il cinque maggio fu composta di getto da
M. dopo
aver appreso la notizia della morte di Napoleone a Sant'Elena. La grandezza e la
caduta di Napoleone trovano in questi versi una potente sintesi, ma quest'ode ha
in sé una prospettiva più ampia, nella quale il destino di un
singolo misteriosamente diventa parte dei progetti di una Provvidenza sublime.
La
Lettre à M. Chauvet sur l'unité de temps et de lieu dans la
tragédie e
Sul Romanticismo, lettera al marchese Cesare
d'Azeglio, sono del 1823 e testimoniano della profonda integrazione di
M.
nell'ambiente del "Conciliatore" e la sua adesione al Romanticismo. I due
momenti delle idee e della poetica dello scrittore sono da ricercarsi infatti
nella sua formazione giovanile da un lato e in quella romantica e matura
dall'altro; in
M. vive la tradizione illuministica lombarda, che aveva in
Verri e in Beccaria, nonno materno, i suoi più alti rappresentanti, e da
questa acquisisce quella razionalità e moderazione intellettuale che
sarà presente in tutta la sua opera e che soprattutto riuscirà a
fondersi con il carattere romantico, da cui acquisisce l'ideale della
libertà, l'interesse alla storia del popolo, degli umili, e il concetto
di un'unità, in cui anche l'irrazionale, la sventura, il male trovano la
loro giustificazione, in quel concetto cristiano e manzoniano di Provvidenza.
Fermo e Lucia, prima stesura de
I promessi sposi, comprendente
anche una
Appendice storica su la colonna infame, viene scritto tra
l'aprile del 1821 e il settembre del 1823. La storia dei due contadini che non
possono sposarsi per il divieto del signorotto locale invaghitosi di Lucia,
presenta qui una parte assai più lunga della definitiva dedicata alla
monaca di Monza, e una non riuscita unità tra il carattere etico
dell'opera e lo scorrere della vicenda. Nella revisione del 1824, permane il
problema della lingua, che è ancora un insieme di forme illustri e
letterali e di modi parlati e dialettali, con propensione per l'uso toscano.
Dopo la pubblicazione nel 1827, il cui titolo in un primo tempo avrebbe dovuto
essere
Gli sposi promessi,
M., aiutato dal soggiorno in Toscana,
dai rapporti con Cioni, Niccolini e Giusti, comincia quel lavoro di lima, in
senso linguistico, che porterà all'edizione definitiva de
I promessi
sposi, apparsa a dispense tra il 1840 e il 1842 a Milano. Il romanzo, e con
esso l'adesione al mezzo della prosa, rappresenta la conclusione di quella
ricerca di oggettività, realismo e verità, presente in tutta
l'opera poetica precedente.
I promessi sposi è un romanzo storico,
conforme in questo agli interessi degli scrittori romantici e ai modelli di
Walter Scott. Esso è lo specchio della visione umana di
M., volta
alla considerazione degli oppressi e degli oppressori alla luce di un disegno
più alto, la Provvidenza, ed è il primo romanzo della nostra
letteratura in cui compaiono come protagonisti gli umili. Ma l'aspetto
fondamentale, anche se legato agli altri, è quello della lingua. Infatti
M. cercò e creò una lingua che potesse essere capita in
tutta Italia, che potesse far intendere al popolo, fino allora escluso dalla
cultura e dagli interessi dei letterati, il "vero" di cui egli trattava. La sua
opera si prefigge e ha degli scopi educativi, etici, ma perché questi
arrivassero a tutti o alla maggior parte almeno della popolazione, bisognava che
all'unificazione d'Italia corrispondesse anche l'unificazione della lingua. E
questo fu il carattere più notevole e rivoluzionario di
M., quello
cioè di aver dato agli Italiani una lingua letteraria viva, spezzando la
chiusura e il carattere d'élite che aveva sino allora avuto il linguaggio
della cultura italiana, che dall'Umanesimo in poi sempre più si era
staccata dalla vita e dagli interessi comuni e concreti del popolo. Le opere
posteriori a
I promessi sposi sono tutte di carattere culturale e
moralistico. Nel 1841 viene scritto il saggio filosofico
Dell'invenzione,
edito nel 1850; in appendice all'ultima edizione de
I promessi sposi
(1842) compare la
Storia della colonna infame, sul tema dei processi
degli untori durante la peste di Milano. Del 1845 è il discorso
Del
romanzo e in genere dei componimenti misti di storia e d'invenzione, nel
quale si dichiara contrario a fondere il vero e il verosimile, come negli
antichi poemi epici, criticando indirettamemte il suo romanzo. Incompiuto e
pubblicato postumo è il
Saggio comparativo sulla Rivoluzione francese
del 1789 e la Rivoluzione italiana del 1859 in cui sostiene la giustezza
della Rivoluzione italiana di contro a quella francese, secondo un metro di
giudizio diffuso tra i liberali moderati, disposti ad accogliere
l'eredità spirituale e ideale della Rivoluzione francese, ma non la
violenza e l'illegalità della prassi rivoluzionaria. Sul problema della
lingua sono da ricordare
Sentir Messa, pubblicato postumo nel 1923 ma
steso contemporaneamente al romanzo; la lettera a Giacinto Carena
Sulla
lingua italiana; la relazione al ministro della Pubblica istruzione Emilio
Broglio
Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla (1868)
e la relativa
Appendice del 1869, le due lettere a Ruggero Bonghi
Intorno al "De vulgari eloquio" di Dante e
Intorno al vocabolario,
tutte pubblicate nelle
Opere Varie; la
Lettera al marchese Alfonso
della Valle di Casanova (1870), pubblicata postuma nel 1874. Nella soluzione
unitaria del problema della lingua si concretizzava uno dei principi
fondamentali dell'estetica romantica che grande influenza avrebbe avuto nella
formazione, in Italia, di una coscienza nazionale (Milano 1785-1873).
Alessandro Manzoni ritratto da Hayez (Milano, Pinacoteca di Brera)
"L'eredità del Manzoni" di Cesare Angelini